“A chi non sa risolvere un integrale o non domina alcuna tecnica sperimentale oggi non dovrebbe più venir concesso di parlare di questioni psicologiche”. In questa frase di Robert Musil si ricorda il rapporto tra le scienze e le discipline umanistiche, che è stato importantissimo nel corso del Novecento. Agli inizi del secolo scorso vi furono dei progressi rapidissimi nel campo scientifico, che hanno aperto negli anni successivi una divaricazione tra cultura umanistica e scientifica, in quanto ciò di cui si occupava la scienza era di scarsa comprensione per gli umanisti, e viceversa.
Alla fine degli anni ’50 lo scienziato Charles Percy Snow, convinto che la cultura fosse una sola, si rese conto della divisione che stava avvenendo tra cultura scientifico-tecnologica e cultura umanistica, perciò iniziò ad immaginare i salotti inglesi divisi in due. Da una parte gli scienziati che non avevano mai letto Dickens, e dell’altra parte gli umanisti che, cosa più plausibile, non conoscevano la seconda legge della termodinamica. Questo poichè gli scienziati hanno per natura il futuro nel sangue; gli umanisti hanno gli occhi rivolti al passato.
Nella Realtà delle Cose la cultura è un insieme di conoscenze specialistiche dotate di un valore teorico, contemplativo e soprattutto pratico. Non esistono due culture, ma una sola. La distinzione che si dovrebbe fare è quella tra cultura e in-cultura. La conoscenza non diventa cultura se è incomunicabile e ciò vale per ambedue i versanti. Scienza e tecnica sono “cultura” nel senso più profondo del termine. L’impresa tecnico-scientifica è uno dei fattori più forte di rinnovamento intellettuale e anche etico. Oggi molti problemi etici, che i filosofi affrontano, nascono in ambito scientifico e tecnologico: basta pensare alla bioetica.
Gli sviluppi tecnologici possono, per esempio, aiutare filosofi e umanisti in genere a riflettere su problemi fondamentali e la loro presenza consente di cogliere elementi che non erano disponibili in passato. Massimo Cacciari definisce, nel “Il computer di Dio”, la separazione tra cultura umanistica e scientifica come un anacronistico equivoco intellettuale. È un equivoco perchè la cultura è una sola e le cosiddette “culture umanistica e scientifica” sono ciascuna una metà di un tutto. È una disputa senza senso, analoga a quella di chi dicesse di essere a favore di uno dei due emisferi del cervello, ma non dell’altro. In realtà, così come abbiamo bisogno di entrambi gli emisferi, abbiamo bisogno di entrambe le culture.
I danni provocati da questa apparente divisione ce l’abbiamo sotto gli occhi, poichè la divisione delle culture è frutto della politica culturale dell’idealismo di inizio secolo.
In Italia, la scuola, uscita dalla concezione di Croce e Gentile, è il miglior esempio della separazione delle culture: l’umanesimo a chi deve dirigere la società, la scienza a chi deve lavorare.
Di seguito è doveroso chiedersi come possa oggi comandare, in un mondo cablato e tecnologico, chi sa unicamente leggere classici latini e greci. E’ una bella domanda!
Questa “guerra” si può concludere unicamente con la disfatta globale, dove si cade tutti insieme. Anzi, se è vero che le civiltà cadono quando la cultura su cui esse si basano non è più compresa dalla popolazione, ebbene, ci stiamo avvicinando a grandi passi alla caduta della nostra civiltà, poichè tutti utilizziamo dei meravigliosi strumenti tecnologici ma per lo più non sappiamo né come essi funzionano, né a cosa servano.